Nella nostra evoluzione socioculturale abbiamo assistito a un progressivo affrancamento da tabu e restrizioni all’espressione sessuale. Tuttavia fin dagli inizi dell’emancipazione sessuale negli anni ’60 Alexander Lowen, uno di più noti psicoterapeuti statunitensi, ci metteva in guardia dalla tendenza a una “sofisticazione sessuale” della società moderna evidenziandone la distinzione dalla più auspicabile “maturità sessuale”. Includeva in questo concetto il considerarsi liberi da sensi di colpa e inibizioni, ben informati circa le diverse posizioni e tecniche amatorie, l’essere favorevoli ad un atteggiamento obiettivo e scientifico verso la sessualità e così via. Evidenziava tuttavia come a tale condizione non si accompagnasse una piena soddisfazione nella sfera della sessualità a causa di quei condizionamenti culturali dei quali l’ansia da prestazione sessuale è l’espressione più evidente e attuale. I numerosi casi di ansia e disagio sessuale di fronte ai quali si trovano quotidianamente medici e sessuologi sono purtroppo soltanto la punta dell’iceberg dell’effettiva incidenza della cultura prestazionale sulla sfera dell’intimità di single e coppie.
Non aiutano d’altronde le diffuse rubriche sessuologiche proposte dai media e i numerosi vademecum di tecniche amatorie che finiscono spesso nella direzione di una sessualità da valutare e confrontare con un modello atteso. Pur dimostrando maggiore informazione e ampiezza di vedute rispetto al passato celiamo in effetti una certa confusione e incertezza per quanto riguarda la spontaneità emotiva e gli obiettivi più naturali dell’atto sessuale, condizione che predispone alla così diffusa vulnerabilità all’ansia da prestazione.
Il rapporto sessuale è infatti vissuto in una dimensione prestazionale e valutativa, come una dimostrazione di quella “competenza” che determinati modelli culturali ci impongono e che dovrà essere confermata dalla soddisfazione del partner. Di qui l’inevitabile esito nell’ansia da prestazione legata alla paura dell’insuccesso, della disconferma, del fallimento; per quanto riguarda l’uomo queste si manifestano nella paura di incorrere in episodi disfunzionali quali l’eiaculazione precoce e la disfunzione erettile, nella donna nei vissuti associati al disturbo dell’eccitazione e della lubrificazione vaginale, al dolore sessuale da tensione e alla difficoltà nel raggiungimento dell’orgasmo.
L’ansia da prestazione sessuale e la paura del fallimento ha oggi prevaricato qualsiasi altro tipo di timore riguardante la sfera della sessualità, sono infatti in buona misura superate le paure che in passato derivavano dalla disinformazione e dalla colpevolizzazione del sesso; ma a ben vedere anche l’ansia da prestazione ha le sue origini in una concezione dell’atto sessuale distorta e basata su false credenze.
Dal timore del fallimento alle sintomatologie disfunzionali connesse all’ansia da prestazione sessuale come sappiamo il passo è breve; d’altronde la stessa parola “prestazione” richiama l’idea di una prova fornita, intesa a richiamare l’attenzione sulle particolari capacità di colui che si esibisce. La prestazione ha sempre carattere pubblico, nel senso che il modo in cui l’atto viene eseguito è soggetto all’osservazione e alle critiche di un’altra persona o di un pubblico; il concetto di prestazione, di esibizione distingue le azioni pubbliche da quelle private. Nell’ansia da prestazione l’atto sessuale da momento squisitamente privato e spensierato diviene una più o meno consapevole esibizione orientata a cercare conferma e rassicurazione riguardo alla considerazione positiva da parte del partner. Nell’ansia da prestazione la soddisfazione dell’altro diviene infatti più importante del proprio piacere con la conseguenza di un appagamento sessuale soltanto parziale per la perdita di contatto dalle naturali pulsioni spontanee e istintive che sostengono il coinvolgimento sessuale.
Nelle terapie sessuologiche delle disfunzioni sessuali e dell’ansia da prestazione assume particolare importanza il favorire una focalizzazione sulle sensazioni erotiche e sul proprio appagamento sessuale, dal momento che il piacere dipende in larga misura dalla capacità dell’individuo ad abbandonarsi alle proprie emozioni sessuali. Ovviamente il desiderio di procurare piacere al partner e condividerlo con lui è non solo augurabile e salutare, ma anche un requisito importante per un rapporto sessuale soddisfacente. Tuttavia se esiste una volontà ossessiva di dare piacere, di prodursi in una prestazione, di non deludere, allora, come afferma la Kaplan (1974), potremmo trovarci di fronte a una grossa causa di emozioni distruttive. Chi è predisposto all’ansia da prestazione resta spesso al di fuori di sé, mantiene uno stretto controllo delle proprie emozioni e osserva le proprie reazioni sessuali; questa tendenza a osservare con gli occhi di un giudice la propria maniera di fare l’amore è altamente dannosa per l’erotismo. Questo fenomeno è stato definito da Masters e Johnson con il concetto di”spectatoring”.
Tra le gravi conseguenze dell’ansia da prestazione vi è l’indebolirsi dell’autostima e il progressivo impoverirsi dell’espressione sessuale dell’individuo fino a un drastico calo del desiderio e all’evitamento dei rapporti sessuali con frequente sovrainvestimento nell’attività autoerotica, quando non diviene anche questa oggetto di tensione negativa riducendosi ad un tentativo di testare il proprio funzionamento sessuale.
Nell’uomo l’improprio utilizzo di farmaci in assenza di reali patologie organiche è purtroppo esso stesso in linea con una cultura sessuale prestazionale limitandosi nella maggior parte dei casi ad un tentativo di salvare l’immagine piuttosto che cambiare la sostanza di un atteggiamento interiore insicuro e condizionato dall’ansia da prestazione che aumentando nel tempo può giungere ad invalidare l’effetto farmacologico. Per la donna l’esigenza di fingere l’orgasmo o evitare il discorso con i partner può assumere un’analoga funzione e contribuire nel perpetuarsi nel tempo della propria problematica.
Al contrario se un individuo non compie l’atto sessuale come prestazione, come esibizione per sé o per il partner, non ha più senso nemmeno parlare di fallimento, in quanto si esce da una dimensione di valutazione e giudizio; non si è più osservatori del proprio corpo, e dunque esterni ad esso, ma vi è una partecipazione totale all’atto sessuale; non vi è più alcuno spazio per l’ansia da prestazione e per le disfunzioni sessuali psicogene. Per un’attività sessuale soddisfacente l’individuo deve essere in grado di sospendere tutti i pensieri distraenti e perdersi nell’esperienza erotica; in questa accezione la vita sessuale della coppia è orientata al fine del piacere erotico invece che alla prestazione e all’orgasmo, nessuno dei due chiede all’altro la sua aspettativa di prestazioni fisiologiche, né la esige da sé stesso.
Le disfunzioni sessuali di origine psicogena connesse all’ansia da prestazione e a fenomeni di spectatoring (disfunzione erettile, eiaculazione precoce, evitamento sessuale e calo della libido, disturbi dell’eccitazione, dolore sessuale e anorgasmia) possono essere efficacemente trattate con l’aiuto di un sessuologo mediante terapie sessuologiche brevi e tecniche psicoterapeutiche di rilassamento e gestione dell’ansia. La consulenza di un sessuologo sarebbe comunque auspicabile in tutti quei casi in cui la vita sessuale è vincolata e limitata dalla frenesia della prestazione e dal timore del fallimento con l’obiettivo di attivare un “pensiero” sulla sessualità che sia più funzionale alla reale soddisfazione dell’individuo e della coppia.
Autori
Psicologo Sessuologo AISPS Roma
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa AISPS Roma